L’intervista del Direttore: Vanessa Sacco, la scrittura e un pizzico di magia

1) Perché hai cominciato a scrivere? Sembra una domanda scontata, ma dietro ogni scrittore c’è sempre una ragione personale e per fortuna è diversa per ognuno di noi.
Ho cominciato a scrivere forse perché mi sentivo sola, perché una vita non basta a vedere tutti i posti che vorresti vedere e a vivere tutte le esperienze che vorresti vivere. Mi piace inventare storie, anche molto lontane da me, anzi: più sono diverse dal mio quotidiano, meglio è. Lo so: la regola d’oro per essere degli scrittori credibili è di scrivere di ciò che si conosce, ma nell’era di internet mi sembra un assunto un po’ superato; le competenze si possono sempre acquisire con un po’ di sana ricerca, che non fa mai male. Dopotutto parliamo di scrittura creativa, di romanzi, mica di saggi o manuali! E così è stato anche quando lavoravo a teatro: mi è sempre piaciuto interpretare personaggi molto diversi da me (cosa che a teatro ancora si può fare, al cinema è un po’ più improbabile).
2) Hai un’immagine nella memoria che ti ricollega al momento in cui hai scritto il tuo primo romanzo? Ce ne parli?
Una vecchia agenda Smemoranda, Radio Dj in sottofondo, una stanzetta all’Università, voglia di studiare pari a zero e tanti sogni per la testa. è stato una vita fa, eppure è da lì che viene il romanzo che ho pubblicato con Le Mezzelane: da un embrione immaturo che quando ci ripenso ancora mi fa tenerezza per la sua acerbità. Quando lo finii lo spedii persino a un concorso indetto da un giornale importante di cui non ricordo più il nome. Poi lo abbandonai, aspettando che i tempi maturassero, ma soprattutto che io maturassi, prima come donna, poi come scrittrice. Se penso a quante volte l’ho ripreso, smontato e rimontato! Tanto che prima che “Amorevoli Asimmetrie” vedesse la luce ne ho pubblicato un altro.
3) Dal momento in cui hai iniziato a scrivere a oggi com’è cambiata la tua scrittura? Sei soddisfatta dei progressi che hai fatto?
Sì, la mia scrittura è sicuramente migliorata. Credo soprattutto i dialoghi (e questo l’ho preso dalla letteratura cinematografica e teatrale). Penso però che debba ancora affinare due o tre cosette: la completa assenza di scaletta (anche se, forse, devo proprio a questa assenza gli sviluppi spiazzanti e i finali imprevedibili), gli incisi fiume, un uso smodato degli avverbi.
4) Che cosa ha aggiunto la scrittura alla tua vita?
La magia. Quando ho smesso di recitare, come si dice a Roma “ho rosicato”, ma tant’è. La scrittura, ma soprattutto l’opportunità di essere letta, quindi la pubblicazione, mi ha dato una rivalsa non da poco. Ho sempre avuto la testa tra le nuvole… La possibilità di concretizzare un’attività in un certo senso effimera proprio perché artistica (non dimentichiamoci che in Italia l’arte non paga) mi ha ripagato di tanti altri accomodamenti che ho dovuto e continuo tuttora ad accettare. E poi creare una storia e dei personaggi mi fa sentire una divinità primigenia.
5) A che lettore pensi quando scrivi? Hai un pubblico ideale?
Non penso a un pubblico in particolare quando scrivo perché non voglio autocensurarmi né avere pregiudizi di ordine culturale. Finché i programmi cosiddetti colti verranno trasmessi dopo mezzanotte motivando tale scelta col fatto che all’italiano medio non interessano, il pubblico continuerà a considerare l’arte contemporanea astrusa, un certo teatro noioso e gli approfondimenti giornalistici fuori dal coro incomprensibili. Così è anche per la letteratura d’evasione. Vorrei però che i miei lettori riconoscessero nelle mie storie, a tratti, un linguaggio cinematografico universalmente noto (attraverso i dialoghi, appunto) e una certa ironia dei giorni nostri.
6) Quanto c’è nei tuoi romanzi dall’attuale situazione politica e culturale? E come convive la tua scrittura con questi aspetti fondamentali della vita di ognuno di noi?

La politica nei miei romanzi ci entra di straforo, in maniera impercettibile, diciamo che la sublimo molto (ne “Il viaggio di Joelle”, mio primo romanzo, faccio dire a un personaggio che la guerra c’è persino in Provenza), non occupa una posizione di rilievo perché non mi interessa e perché la cronaca devia troppo dal genere di realismo magico che invece mi piace affrontare. Sicuramente affiora maggiormente l’aspetto sociale della nostra contemporaneità, ma come può affiorare la descrizione di un paesaggio: in quanto funzionale all’ambientazione. Per esempio, l’antagonista di “Amorevoli Asimmetrie” ha un padre malato, il che mi ha riportato inevitabilmente al problema di come viene affrontata la terza età nel nostro paese: le nostrane soluzioni alternative di assumere badanti in nero, gli istituti specializzati assolutamente inadeguati, un welfare dormiente nonostante il nostro sia ormai un paese di anziani. Velatamente do la mia opinione, ma non faccio propaganda né cerco soluzioni. Diciamo che lancio dei sassolini. Mi trovo meglio a fare riflessioni filosofiche e teoriche.

7) Scegli cinque aggettivi per descrivere il romanzo Amorevoli asimmetrie?
Cervellotico, sensuale, ironico, colorato, imprevedibile.
8) Descrivi il personaggio principale in poche righe, evidenziando il carattere. Perché gli hai dato proprio quel carattere e come interagisce con gli altri?
Sam è un bambinone problematico e infoiato, dall’immaginazione debordante e dal grande bisogno di aiuto. E’ la risultante scanzonata di alcune persone reali che ho conosciuto ai tempi dell’università. Ha bisogno di una scossa, di qualcuno che lo riporti alla realtà anche con un pizzico di cinismo, ecco perché ho creato Lio, che invece è nato plasmando insieme tipi un po’ bizzarri che frequentavo quando lavoravo in teatro. Io li adoro entrambi, anche perché, se è vero che in ogni personaggio c’è un po’ del suo autore…
9) Perché un ipotetico lettore dovrebbe scegliere di acquistare il tuo romanzo?
A parte la copertina strepitosa (già solo per quella sono soldi spesi bene), ce n’è davvero per tutti i gusti: per gli amanti del giallo, per quelli che se non ci sono più piani di interpretazione si annoiano, per i fanatici di Psiche & Dintorni, per gli esperti di fumetto, per i voyeur dell’erotico, per gli irriducibili del romance, per i sognatori del realismo magico.
10) Nel tuo romanzo sono presenti: ironia, umorismo, qualche spruzzata di cinismo, qualche traccia di amarezza, realismo, un pizzico di surreale, una briciola di fantastico. Li hai intrecciati alla perfezione.
Come mai hai inserito tutti questi aspetti nella narrazione e che effetto volevi ottenere?
 Perché io sono così: sono complicata!
11) Quale parte del libro ha richiesto più concentrazione e perché?
Come ho già accennato, questo libro è frutto di più e più stesure, anche a grande distanza le une dalle altre. Ovviamente, alla fine sei un’altra persona. La parte più difficile è stata proprio questa: rimescolare bene tutto. Come trama, so che sembra assurdo ma la cosa davvero difficile, per me che non seguo uno schema, che non ho la storia in testa fin dall’inizio, è stato proprio  il caso che Lio vuole risolvere: man mano che andavo avanti con la sua investigazione mi chiedevo: ma qual è la verità? a che diavolo gli servono tutti questi indizi?  E se alla fine non riesco a risolvere il caso?
12) Giochiamo: se dovessi scegliere di buttare tre libri al rogo – non si fa, non si fa, ma noi stiamo giocando – quali butteresti?
Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia; Le 50 sfumature di E.EL. james; La profezia della curandera, di Hernàn Huarache Mamani. E già so che mi farò un miliardo di nemici.

Da piccola volevo diventare Dio. Molto presto compresi che era chiedere troppo e versai un po’ di acqua benedetta nel mio vino da messa: sarei stata Gesù. Presi rapidamente coscienza del mio eccesso di ambizione e accettai di ‘fare’ la martire, una volta diventata grande. Adulta, mi decisi a essere meno megalomane e a lavorare come interprete in un’azienda giapponese. Sfortunatamente, era troppo per me e dovetti scendere di un gradino per diventare ragioniera. Ma non c’erano stati freni alla mia folgorante caduta sociale. Mi venne dunque assegnato il posto di nullafacente. Purtroppo – avrei dovuto sospettarlo – era ancora troppo per me. Ottenni così l’incarico estremo: guardiana dei cessi. Dalla divinità alla latrina: […] Quando si lustrano i bagni sporchi, il vantaggio è che non c’è da temere di cadere più in basso.
Da “Stupori e tremori” di Amélie Nothomb
Adoro questa scrittrice per la sua ironia, e l’ironia, almeno in teoria, mi ricorda sempre il giusto valore da dare al successo (o all’insuccesso)
Se siete arrivati a leggere fin qui, non vi resta che lasciarmi un commento, un’impressione, il “disegno” di un’emozione. Vanessa e io ne saremo felici.
Xo Xo Rita Angelelli
Direttore Editoriale di Le Mezzelane