Le interviste del Direttore: Gaia Cicaloni
- Chi è Gaia Cicaloni? È una domanda difficilissima, lo so. Quando l’hanno fatta a me ci sono stata almeno una giornata a scrivere e alla fine della giornata ho cancellato tutto e rimandato al giorno dopo.
Eh non lo so, ho provato a riscrivere questa risposta tante volte. Probabilmente sono una donna alla continua ricerca, e non solo di me stessa. Talmente indecisa da impiegare più di un mese per rispondere a questa intervista.
- Sei nata e vissuta in Italia, poi un bel giorno hai deciso di trasferirti a Berlino. Ricordi il giorno che hai maturato questa decisione? Hai un’immagine di quando è successo?
La voglia di partire c’è sempre stata, ma mai avrei pensato alla Germania. Tutto è iniziato sei anni fa, un po’ come un gioco. Non ho un´immagine ben precisa ed è andata un po’ cosi: un amico mi ha detto “C’è un’occasione a Berlino” e ho tentato. Sempre lui mi ha accompagnato nel mio primo periodo berlinese, ed è proprio grazie a lui che è iniziata la grande svolta della mia vita! Sono partita senza aspettative né pretese, conoscevo Berlino e ne ero affascinata. I miei mi hanno sempre supportato nonostante le preoccupazioni genitoriali. Partire è stato veramente un azzardo, ma non avevo molto da perdere perché in Italia ero troppo infelice. In sei anni a Berlino ho avuto quattro stili di vita diversi, per case, zone e coinquilini. Queste esperienze mi hanno trasformato e se mi fermo a pensare a come sarebbe stato se fossi rimasta in Italia divento triste, perché mi rendo conto di quante cose mi sarei persa. Mi sento più ricca adesso, e naturalmente non sto parlando di beni materiali.
- Com’è vivere a Berlino? Con quali difficoltà ti sei scontrata? Rifaresti questa scelta? E perché?
Le difficoltà erano di natura diversa, ma tutte molto rilevanti: la lingua per primo, e poi la famiglia e gli amici distanti, il clima… ma si supera tutto. Quando arrivai a Berlino trovai subito un tirocinio come designer. Quando vinsi una borsa di studio a Milano per un corso di aggiornamento lavoravo già, ma non volevo perdere l’occasione. Così andai, frequentai il corso e una volta finito ripartii subito per Berlino. Dopo poco, partecipai a un concorso per creare il nuovo brand di un festival italiano e lo vinsi. Da lì è iniziato tutto, fra tirocini (tanti e di diverso genere) e il lavoro da freelancer mi sono creata quello che per adesso considero “il mio posto nel mondo”. Vivere qua è incredibilmente stimolante, rifarei al 100% questa scelta, ma con un percorso diverso, anche se forse doveva andare cosi. Arrivati a 20 anni, partire è un’esperienza che dovrebbero fare tutti. Imparare a cavarsela con poco o con l’essenziale, in un paese culturalmente diverso e con una lingua che non conosci, è un’esperienza che insegna tantissimo, che ti forma.
- Che cosa ti manca di più dell’Italia? E, invece, di che cosa ti sei liberata andando a Berlino?
Non mi manca la Gaia che era in Italia e dell´Italia mi mancano alcuni rituali, alcuni profumi e avere “il bello” intorno, ovunque ti giri, dal mercato, all´architettura, dai gesti delle persone fino a quello che noi chiamiamo “calore umano”. Mi mancano alcuni momenti della giornata o determinati gesti da fare e da ricevere. Naturalmente mi manca anche il mare a 15 minuti di distanza, ma tutto sommato non cosi tanto. Pensavo di non poter vivere senza il mare, invece mi accontento di andarci quando scendo, se posso vivere in una città come Berlino! Per ricollegarmi brevemente alla domanda di prima, posso dire che partire (seriamente) e prendere coscienza di quello che stai facendo e della cultura in cui ti stai immergendo, ti permette di sviluppare una parte di te che non conoscevi e non pensavo essere cosi influenzata dalla cultura italiana e del luogo in cui ero cresciuta. Nonostante i miei genitori mi abbiano spronato a viaggiare e a imparare, e siano di mentalità piuttosto aperta, quando esci dall’italia ti rendi conto che la tua apertura mentale, e le tue sicurezze, non sono poi cosi grandi. Questo comporta anche tornare in Italia e infastidirsi per “situazioni” che qua sono normali e che il maremmano (eh sì, sono toscana) o in senso lato, l’italiano medio, non tollera, non accetta, non rispetta.
- Che cosa non sopporti di Berlino e che cosa adori particolarmente?Adoro che Berlino sia una città aperta, spontanea, multiculturale e al contempo a volte mi lascio infastidire da queste stesse cose. Non sopporto che a causa della gentrificazione si svenda e si lasci scomparire quelle realtà che contribuiscono al fascino, soprattutto artistico, di questa città o che il concetto di “libertà” sia tollerato a tal punto da diventare sporco o maleducato.
- Ci racconti un po’ del tuo mestiere e com’è lavorare a Berlino?
Berlino è come un grande luna park per un designer. Io ho avuto la grande fortuna di aver trovato sempre dei colleghi tedeschi incredibilmente umani, gentili e onesti.
Il concetto del designer come lo avevo imparato all’università è profondamente diverso dal concetto berlinese.
- La fotografia è strettamente collegata alla grafica, mestiere che svolgi con cura e passione. Chi e che cosa ami fotografare, quando non lo fai per lavoro?
Sì, non solo la fotografia, ma tante altre discipline. Io nasco come Progettista Grafica e Industriale. Non sono una fotografa e per lavoro coinvolgo sempre fotografi professionisti, a seconda della loro specializzazione e dalle possibilità del cliente. Vengo da una famiglia di fotografi in cui ognuno ha uno stile e una preferenza. Hanno un negozio da tanto tempo, un luogo in cui noi, figli e nipoti, abbiamo passato tanto tempo. Mi piace la fotografia in generale e impazzisco per i dettagli, ma faccio prima a dire cosa non mi interessa: la fotografia glamour e quella di moda. Mi piacciono tutti gli altri generi che permettono di dare risalto a forme, colori, texture varie e ti mostrano il mondo da altre prospettive. - Che cosa comporta lavorare come professionista e per più “datori di lavoro”? Come riesci a gestire il tuo tempo? Di cose da fare ce ne sono sempre tantissime, come convivi con la fretta, i tempi ristretti e tutto ciò che ne deriva?Lavorare per più clienti può essere stimolante e piacevole (quando ci vai d’accordo ;), di solito c’è una selezione naturale.
Adoro follemente avere molte donne come clienti, che sono madri, artigiane, imprenditrici e tanto altro. Con loro e per loro, mi piacerebbe creare un qualcosa di più grande in cui poter lavorare.Essere il mio datore di lavoro è stancante e a volte mi sento bipolare. Mi sono messa in proprio nel 2014 perché lavoravo per due agenzie (una italiana a Berlino e una tedesca), ma nel momento in cui poi ho iniziato ad avere dei clienti miei, ho dovuto anche imparare a gestire me stessa. Prima avevo tanta pazienza con i bambini, adesso ho tanta pazienza anche con gli adulti “cocciuti”.
Solitamente mi rimprovero da sola e difficilmente mi complimento, perché sono da sempre piuttosto esigente e pignola con me stessa. Ho visto diversi colleghi rilassarsi sugli allori e non porta a un futuro positivo. - Qual è stato il lavoro che ti ha dato più soddisfazione personale tanto da dire a te stessa: sono stata bravissima, un genio proprio!Ahahah il primo lavoro che ho fatto a Berlino per lo studio in cui facevo un tirocinio. Ero entrata da due settimane e creai un logo molto particolare. Era una bozza su carta e la stavo ancora elaborando al computer (con il mouse!!!), quando arrivò il capo e mi disse “Gaia questa è una soluzione veramente intelligente! Ottimo lavoro”. Ero veramente agli inizi e lì per lì mi sentii in imbarazzo. La sera invece ripensandoci mi rilassai e mi concessi il mio minuto di soddisfazione personale. Alla fine del tirocinio mi regalò una tavoletta grafica per disegnare subito in digitale. Fu veramente un bel pensiero da parte sua.
- Com’è lavorare per una casa editrice? Quando hai studiato il logo che cosa pensavi?
Lavorare per e con una casa editrice mi incuriosiva, non lo avevo mai fatto. Avevo fatto delle copertine per degli autori, ma ero stata quasi più un esecutrice che una progettista. A volte gli autori che si pubblicano il libro a proprie spese possono essere molto testardi.
Sicuramente la fiducia nei confronti di Mgb (Maria Grazia Beltrami) è stato un elemento importante per scegliere o meno se partecipare a questo progetto. Ero un po scettica e temevo di ricevere l´ennesima delusione, perché avevo partecipato a vari progetti “al femminile” che poi per un motivo o l´altro non erano mai partiti. Quando poi Mgb e la direttrice hanno presentato il payoff per il logo “Dietro le parole ci sono le persone“, ho avuto una piacevole sensazione ed è cresciuto in me il desiderio di conoscere meglio la realtà che mi si proponeva, quella dell’editoria indipendente. Le richieste per il logo erano ben precise bastava solo bilanciare quegli elementi che mi erano stati dati: la lettera M, una chiocciola e un libro. Ora che io e “la casa editrice” ci conosciamo meglio e che la casa editrice sta formando una propria identità, sarà molto interessante vedere cosa riusciremo a realizzare tutte/i insieme.
- Hai prodotto una gran quantità di locandine, copertine, banner pubblicitari. Ce n’è uno che ti ha fatto impazzire e perché?
Non so rispondere a questa domanda perché come “Dietro le parole ci sono le persone“, ci sono tante persone ed emozioni anche dietro ai vari progetti.
La maggior parte dei lavori che ho realizzato ha un determinato valore, che è dato dal periodo della mia vita in cui e´stato fatto e dal rapporto con il cliente.
- Ti si è presentata una grande occasione: una grande agenzia pubblicitaria tedesca ti ha scelto per far parte del loro staff, ma il primo compito è quello di realizzare una campagna pubblicitaria di un sexy toys. Imbarazzante? Avresti difficoltà? Hai un’idea di come sviluppare l’immagine, che sarà solo la prima di una lunga serie?
No nessun imbarazzo, non avrei difficoltà e anzi, pensandoci cosi su due piedi e ripensando anche alle pubblicità che si vedono qui in città (dove i sex toys e le pubblicità inerenti sono numerose, la prostituzione è legalizzata e il sesso viene vissuto da tutti piuttosto apertamente) avrei diverse idee su cui abbozzare la progettazione. Vivendo a Berlino ed essendo fidanzata con un berlinese, succede di andare al lago in estate o alle terme in inverno e ritrovarti in costume in mezzo a un sacco di gente nuda, parenti compresi. In una delle precedenti risposte ho detto che a volte a Berlino, per mostrarsi di mentalità aperta, si finisce per varcare quella che io presumo essere (in certi contesti che non sto qui ad elencare) la soglia di rispetto e civiltà. Diciamo che ci sono stati luoghi e situazioni in cui mi sono sentita in imbarazzo, e quel tipo di imbarazzo, sicuramente non lo proverei nel progettare una campagna pubblicitaria.
* “per gioco” e´successo un qualcosa di simile mentre frequentavo l´istituto grafico pubblicitario. L´insegnante ci aveva dato il compito di progettare dei loghi, a me era toccato quello di un night club. Non era imbarazzante quanto piuttosto intrigante cercare di capire quali segni rimangono nel confine del rispetto e del politicamente corretto.
- Giochiamo: il genio della lampada ti è apparso all’improvviso e ti ha detto che esaudirà un tuo desiderio (sai com’è… in tempi di crisi). Solo uno e non vale rispondere infiniti desideri. Che cosa gli chiederesti?
Visto che ho 30 anni e che la vita ancora non mi ha piegato troppo, chiederei quello che dico a me stessa: di avere sempre la forza di vivere la vita in armonia con me stessa.
Brava Gaia! L’Italia che si fa valere anche all’estero. Peccato però per il fidanzato…quello doveva essere italiano! In bocca al lupo per il tuo lavoro.
Una imprenditrice moderna che farà strada